2019 TrasFigurazioni: il velo del visibile


Mostra personale

Sarnico, Centro Culturale Sebinia - ex chiesa di Nigrignano Via Vittorio Veneto, 24

dal 13 al 22 settembre 2019


Ut pictura Veritas

di Massimo Rossi

 

 E così, dopo una lunga riflessione sulle origini – riflessione cosmogonica, poiché conosciamo bene le tele di buio e di luce di Ciro Indellicati – ecco che lo stesso artista decide, ora, di posare il piede sulla terra ferma, decide, per così dire, di atterrare per aprire a una meditazione decisamente più vicina all’umano.

Gli Angeli, i Profeti e i Santi. Il baricentro dell’arte di Ciro Indellicati si sposta, infatti, verso la figurazione. E la forma, possiamo starne certi, è umana. Che sia, dunque, questa nuova volontà di rappresentazione del Divino, un semplice pretesto per nobilitare l’uomo nella sua più alta e primigenia idea platonica di modello del visibile?

No, non basta. Siamo convinti che le nuove figurazioni di Ciro Indellicati aprano a un paio di questioni fondamentali: la Verità e la Storia. Per quanto riguarda la Verità è chiaro che l’artista non può fare altro che suggerirne la via maestra: da vero bizantinista (ci perdonerà il Maestro per questa riduzione che, tuttavia, per quanto ci riguarda, profuma di saggezza e nobiltà), Ciro Indellicati si affida allo stile degli archetipi per eccellenza.

Il sentimento e l’estetica pregiotteschi non sono un semplice scatto intellettualistico magari un po’ snob, ma, al contrario, rappresentano un atto di umiltà, una vera e propria autoimposizione.

La “via bizantina” non inventa né costruisce la forma, ma semplicemente la rivela. La forma è preesistente e già data e l’artista procede attraverso non tanto il suo disvelamento (procedimento impossibile ed eretico), quanto più attraverso la sua simbolizzazione. Il simbolo supera gli accidenti del quotidiano ed esprime un’intuizione al di sopra della molteplicità dell’esperienza.

Gli Angeli, i Profeti e i Santi sono, dunque, gli archetipi della Verità che, in tal senso, accoglie e rende partecipe anche l’uomo.

Le icone di Ciro Indellicati sono forme archetipiche per eccellenza: non possiedono un carattere illustrativo, ma sono una partecipazione reale al mondo della perfezione. Come ben suggeriva Florenskij, “nel volto dei Santi (bizantini) noi vediamo i prototipi, gli Uhrphänomena (Goethe).

Siamo faccia a faccia con il mondo platonico delle idee”.

La seconda questione che procede dall’indagine di Ciro Indellicati è quella storica. L’impegno civile e politico, il procedere storico mutano e smarriscono progressivamente i principi metafisici universali. Il pensiero decade e con esso la sua pretesa mitologica di rifondare il mondo attraverso la sola forza delle opere e dei giorni. L’eccessiva ed esclusiva attenzione al mondo profano, la perdita della dimensione del sacro, hanno spazzato via la nostra possibilità di trasformazione reale, la nostra via di felicità.

Vi è, quindi, nei sacri volti di Ciro Indellicati, anche un’infinita nostalgia della vita spirituale, intesa anche come “comunione di parola”. Gli occhi dei suoi Angeli e dei suoi Santi sono quelli dell’aquila “dal rapido volo, dallo sguardo che vede Dio” (Giovanni Scoto Eriugena, Il Prologo di Giovanni). Ugualmente, non sono movimenti, quelli delle Figure Sante di Ciro Indellicati, ma liturgie, cioè atti di “simulazione” (termine orribile e inadeguato, ma forse necessario per esplicitare) del destino del singolo e dell’umanità.

 

La liturgia di queste figure celesti è, dunque, “l’archetipo supremo del destino dei destini. È la suprema fiaba, quella a cui non si può resistere” (C. Campo, Lettere a Rodolfo Quadrelli). Noi crediamo che questa sia l’unica fiaba alla quale, ancora, dovremmo abbandonarci.


Ricordo quando da ragazzo entrai per la prima volta in una chiesa rupestre. Restai rapito da quelle figure così severe e misteriose, da quel luogo così suggestivo, così inaspettato. Tra i profumi delle erbe mediche e del muschio, si percepiva ancora una strana atmosfera di raccoglimento, il silenzio era interrotto solo dal frinire delle cicale e da qualche ignoto cinguettio. E poi quei colori, quegli sguardi…

Sono rimaste intrappolate nella memoria quelle immagini, quelle sensazioni. Sepolte lì, silenziose, pazienti, in attesa di riemergere un giorno.

Forse è in quella esperienza la ragione che poi, a distanza di molto tempo, mi ha portato a posare gli occhi su certe icone capitatemi per le mani in una piccola bottega antiquaria di Corfù; e ancora di più il rapimento che provai entrando in una chiesa ortodossa, durante una messa. I canti e l’incenso, e l’oro, i colori di quegli austeri dipinti, in pochi minuti mi hanno incantato.

Ma non era ancora tempo che si risvegliassero tutte quelle sensazioni, che si trasformassero attraverso le mie mani in nuove opere. Ce n’è voluto ancora di tempo.

C’è stato bisogno che decantassero e che poi, trasfigurate dalla poesia di Kandinskij e di Klee, dall’esplosione materica di Burri o Fontana e Tapìes, attraverso la furia dei segni di Pollock o Twombly e la forza evocativa dei colori di Rothko e di Afro, riemergessero quei volti, quelle atmosfere.

Così, dopo anni, la pace di quei luoghi, la nostalgia di quelle piccole stanze scavate nella roccia, di quelle tavole misteriose, sono tornate finalmente a cercarmi; durante la visita nella Cripta del Peccato Originale di Matera, circondato dalla potenza di quelle immagini, hanno finalmente ripreso sostanza.

È qui l’origine di queste mie tele: è tra le icone, le chiese rupestri, nell’arte Bizantina; è negli impasti materici e informali, nel gesto che si fa segno e si condensa tra i colori e l’oro.

Non allo spazio concreto e alle leggi della prospettiva, non agli scorci e alla luce naturale si volge l’attenzione di questi miei dipinti.

Le presenze qui rappresentate non instaurano una relazione di identità, semmai cercano in poche tracce l’essenza dell’umano, un tramite visibile dell’invisibile, una impossibile riunificazione con il trascendente: “il velo del visibile” come scrive Pavel Florenskij.

Non ci raccontano un evento queste immagini, sono solamente muta presenza, oltre ogni apparenza, sono rimembranza, mistero silente che attraversa ogni spazio, ogni dimensione; una soglia.

 

Ciro Indellicati